La Psicodinamica è un sistema di psicologia scientifica organizzato
relativamente di recente.
Le basi storiche che ne hanno permesso una teorizzazione, infatti, sono da
ricercarsi nella Psicoanalisi, disciplina codificata alla fine del secolo XIX da Sigmund
Freud e successivamente sviluppata dallo stesso Freud e dai suoi allievi continuatori.
Del tutto genericamente per Psicodinamica dobbiamo intendere la scienza che
studia in maniera sistematica l’insieme dei processi conscî ed inconscî che
determinano la condotta umana e l’insieme delle motivazioni che innescano l’agire
comportamentale nell’individuo sano ed in quello psichicamente disturbato.
Il presupposto essenziale sul quale la scienza Psicodinamica basa la validità
delle sue asserzioni e deduzioni risulta essere, pertanto, l’accettazione delle antiche
teorie deterministiche, meccanicistiche e fiscalistiche3, discipline che ritenevano valide
ed efficaci esclusivamente le affermazioni scientifiche, filosofiche o teosofiche che si
fondassero sul riconoscimento della connessione necessaria di tutti i fenomeni
secondo il principio di causalità4.
Il campo di applicazione delle asserzioni e delle deduzioni importate da una
utilizzazione della Psicodinamica e, pertanto, la validità scientifica di tutto il sistema di
pensiero che quest’ultima incarna, sono consistentemente circoscritti.
Questa scienza affascinante e per molti versi squisitamente logica ed
ineccepibile, incontra un limite preciso che, anzichè privarla di scientificità, le
conferisce il rigore proprio della matematica euclidea. Lo scienziato psicodinamico ha
infatti effettuato una precisa scelta metodologica ab initio che consiste
nell’accettazione incondizionata del principio deterministico della ineluttabile
connessione, del binomio causa-effetto.
Detto questo potremmo già proporre una definizione quanto mai semplicistica
della Psicodinamica, offrendone dopo una più congrua: per Psicodinamica si potrebbe
intendere una sorta di Determinismo delle motivazioni, ossia una scienza che
investighi le modalità di esecuzione del comportamento umano, sottese e guidate
chiaramente dalla motivazione, con la prospettiva metodologica del nesso di causalità,
senza preoccuparsi di indagare gli altri aspetti del mondo fenomenico.
Da un punto di vista prettamente psicologico per motivazioni dobbiamo
intendere « i fattori dinamici del comportamento animale ed umano, ovvero il processo
che funzionalizza le attività dell’organismo verso una méta ».
Secondo una scuola di pensiero autorevole (Riduzionismo5) lo studio della
motivazione può essere condotto esclusivamente in termini psicologici o parzialmente
neurofisiologici e biochimici; nondimeno cercheremo di presentare una descrizione
della motivazione accessibile anche ai profani.
Le motivazioni sono generalmente classificate in tre gruppi: motivazioni
primarie, motivazioni secondarie e motivazioni superiori.
Le motivazioni primarie consistono essenzialmente in tutte le pulsioni di natura
fisiologica che animano l’organismo dell’animale e dell’essere umano sin dai primissimi
attimi dell’esistenza biologica e che lo accompagneranno sino a quando non giungerà
la morte fisica. Da un lato esse comprendono tutti i bisogni fondamentali ad esistenza
ed autoconservazione dello status vitale umano (istinti di alimentazione, riproduzione e
conservazione della specie) e dall’altro esigenze come la manipolazione, l’attività,
l’autostimolazione e l’esplorazione dell’ambiente.
Le motivazioni secondarie attengono peculiarmente alla sfera personale e
sociale e vengono acquisite mediante l’esperienza dell’individuo e della specie; alcune
di esse sembrano dipendere dalle caratteristiche soggettive dei diversi contesti socioculturali
(brama di successo, cooperazione, interrelazione e competizione), mentre
altre sembrano essere universali, probabilmente perchè derivano da esperienze
ancestrali di dipendenza della specie umana (imitazione).
Le motivazioni superiori, infine, possono essere considerate appannaggio della
specie umana. Esse sono da ascrivere alla sfera degli ideali ed obiettivi esistenziali
(autorealizzazione) e risultano proprie dell’uomo in quanto essere sociale.
In via del tutto preliminare ed a tutto vantaggio di una chiarezza di esposizione,
desideriamo sottolineare che la tripartizione sopra presentata consiste esclusivamente
in una esemplificazione a scopo didattico: in realtà, infatti, l’essere umano è mosso in
ogni istante della sua esistenza dalla risultante di innumerevoli motivazioni (sistema di forze),
alcune delle quali sussistenti ancora allo stato grezzo, altre già sviluppate e
raffinate dall’esperienza e comunque completamente indistinguibili tra loro, inscindibili,
inseparabili e pertanto difficilmente isolabili.
Pur tuttavia, essendo l’oggetto di studio della trattazione la Psicodinamica del
confronto, tenteremo di limitare la nostra attenzione alle motivazioni secondarie e,
precisamente, alla competizione, che altro non è se non un modo più specifico di
riferirsi al confronto.
Come già accennato in premessa e come si vedrà più dettagliatamente nel
seguito, infatti, il combattimento risulta, tra le innumerevoli modalità di esecuzione del
confronto, senza dubbio la più significativa.
Dopo queste premesse il rapporto tra confronto e Psicodinamica delle arti
marziali, quella parte della Psicodinamica tradizionale che studia i processi di
formazione e sviluppo delle motivazioni alla base del comportamento del combattente
(fattori di strutturazione e fattori di esecuzione della prestazione sportiva del
combattente), apparirà inequivocabile.
Nelle sue molteplici e complesse componenti il confronto risulta, ad un tempo,
fattore attivante della condotta del combattente (in quanto motivazione secondaria),
strumento tecnico metodologico (nell’addestramento tecnico-tattico) ed obiettivo ultimo
della pratica di una disciplina marziale.
La scansione dello scritto è articolata in due sezioni distinte.
Si procede in prima istanza a un esame scientifico del confronto inteso propriamente quale fenomeno ed analizzato pertanto attraverso gli strumenti propri di un’indagine scientifica.
A una breve analisi etimologica, che chiarisce la validità metodologica del confronto ai fini della conoscenza e le autentiche modalità di estrinsecazione, seguirà immediatamente una digressione che cercherà storicamente di cogliere dal punto di vista gnoseologico come queste ultime siano state continuamente disattese, visto il connaturato bisogno dell’uomo di padroneggiare quanto lo circonda e di adeguare la realtà al proprio pensiero.
L’obiettivo che s’intende raggiungere nella prima sezione consiste nel presentare il confronto, considerato in tutte le modalità d’espressione a esso proprie, come fondamentale strumento di conoscenza.
Una considerazione che voglia dirsi coerente con quanto la tecnica del confronto ci ha insegnato nel corso della storia, pertanto, dovrà considerarlo e trattarlo per ciò che sostanzialmente è, e non per ciò che potrebbe (tendenziosamente) rappresentare. In altri termini, qui si vuole intendere che, qualora si voglia costruire un sistema di pensiero che presenti la pienezza delle cose concrete e sia contemporaneamente suscettibile di applicazioni pratiche, (un sistema vivo, cioè), si dovrà erigere la tecnica del confronto addirittura a punto di partenza e di arrivo ad un tempo, senza commettere, a parere sell'Autore, alcun errore di concetto.
Il confronto, inteso come attitudine alla competizione, alla dinamica relazione ma soprattutto come tappa metodologica che nulla ha di perentorio se non l’invito a una riflessione continua su se stesso e sui modi di operare, non è assolutamente deprecabile nè tacciabile di ricadere in sterile nichilismo; il confronto inteso come assioma-non assioma è di per sè garanzia di organismo vivo, creativo, in continua espansione.
In seconda e ultima istanza la trattazione è incentrata sul combattimento, considerato come modalità di estrinsecazione del confronto per antonomasia.
Il corpo della seconda sezione consiste essenzialmente in uno studio analitico del combattimento condotto attraverso diversi strumenti ermeneutici: una chiave interpretativa fisica, statistica, psicologica, sociologica e tattico-strategica.
Si cerca di fornire il lettore di strumenti che gli consentano di riaddentrarsi con maggior consapevolezza in un mondo a lui familiare e gli si chiede di condividere approcci inediti e affascinanti.
L’esperienza diretta del combattimento, infatti, che risulta possibile realizzare per mezzo della pratica di una qualsiasi disciplina del corpo, è stata per troppo tempo fraintesa, a tutto scapito di una conoscenza delle sue potenzialità sociologiche e formative.
Il combattimento in quanto metafora dell’esistenza promette al praticante di migliorarsi nel corpo e nello spirito e pertanto si presenta come strumento pedagogico e formativo di tutto il ventaglio di capacità psichiche e fisiche, abilità innate, propensioni e attitudini caratteriali dell’uomo ancorchè dell’atleta.
Migliorarsi nel combattimento, in conclusione, equivale a migliorarsi nella vita.
Allo studio pedantemente analitico condotto nel corso delle due sezioni, infine, seguirà una sorta di sintesi funzionale alla presentazione di una nuovissima quanto ardita teoria delle discipline da combattimento.
Saranno infatti presentati i rudimenti di una nuova filosofia dell’azione, conformemente alla quale l’agire marziale assurgerebbe a un ruolo inaspettatamente elevato.
Al lettore il diritto di condividere o criticare i principi di una nuova etica del pragmatismo marziale.