Livorno: una tranquilla città di provincia.
Quella mattina il commissario Giovanni Benedetti si stupì quando gli passarono una telefonata proveniente dall’altra parte dell’oceano. Per un attimo sperò che fosse l’FBI con un traffico internazionale di droga e pregustò un fluente dialogo in inglese con i colleghi americani. Invece una voce giovanile gli comunicava che non riusciva più a mettersi in contatto con il vecchio nonno residente in città.
«E cosa c’entra la Polizia?», lo aveva interrotto, contrariato e deluso.
«Mi capisca, commissario, ho paura che sia successo qualcosa. Sono giorni che mio nonno non mi risponde al telefono!»
Benedetti continuava a non comprendere, un po’ per la linea disturbata e un po’ perché la persona che gli stava parlando era in allarme e aveva difficoltà a raccontare con ordine il motivo della telefonata.
Si fece ripetere più volte la storia annuendo con aria grave quindi trascrisse alcuni numeri di telefono e chiuse la conversazione con un lapidario: «Non si preoccupi, andremo a dare un’occhiata e le faremo sapere».
Scocciato, scese al bar interno a prendere il terzo caffè della mattinata.
«Ci siamo ridotti a fare da balia ai vecchietti…», brontolò, stufo della banalità dei casi che gli si presentavano e della città dove lavorava nella quale vedeva svanire, come in una clessidra quasi vuota, il sogno di una soddisfacente carriera. L’unica segnalazione della mattinata era stata quella: un intervento da badanti.
Del resto ricordava bene le parole del colonnello al termine del corso.
«Lei, Benedetti, andrà a Livorno, una tranquilla città di provincia».
Quegli aggettivi, tranquillo e provincia, che caratterizzano un agglomerato urbano nel quale non succede niente di grave e, di conseguenza, non assurge quasi mai alle cronache nazionali, allora gli erano parsi rassicuranti. Livorno era così; aveva ragione il superiore. L’ultima volta che erano arrivati gli inviati dei giornali e delle tv nazionali era stato anni prima per i centoquarantuno morti di un traghetto finito contro una petroliera davanti al porto, e il settembre scorso dopo una rovinosa quanto inattesa alluvione che aveva provocato morti e buttato all’aria interi quartieri. Ma erano casi che provocavano solo guai e che non mettevano in luce le capacità di un inquirente.
È l’esordio del commissario Attilio Attenti, un uomo contraddittorio: combatte i delinquenti, ma lascia la Polizia; si mette a fare il professore di diritto, ma continua a investigare con gli ex colleghi nei casi più difficili; professa una fede incrollabile per la legalità, ma guida come un pazzo il suo scooter senza allacciare il casco; ama le donne svampite, ma non resiste all’intelligenza e all’arguzia delle altre. E poi ha un intuito formidabile ed è anche fortunato.
In una tranquilla città di provincia adagiata sulla costa tirrenica, Livorno, nell’estate più calda del secolo, quando l’unico refrigerio è offerto dalla brezza marina, le onde e gli scogli, tra le chiacchiere e i lazzi del gruppo di amici, Attenti dovrà, suo malgrado, indagare sulla morte di un vecchietto lasciato solo da una badante e dall’amico del nipote, entrambi spariti nel nulla. Il caso è banale, all’apparenza, tipico di una tranquilla città di provincia, invece…