- Ombre di un sicario
Alla fine Rosita era riuscita a mettersi a sedere. Era stanca morta per aver lavorato in casa tutto il giorno; il suo era stato un trafficare nevrotico, lo sapeva benissimo, un fare per non pensare.
Invano, perché la sua mente era corsa in continuazione a quel romanzo segreto scritto in lingua spagnola, dal titolo Oreste, di cui fino a quel momento aveva ignorato l’esistenza e che aveva rinvenuto tra le cose più intime della madre, deceduta qualche tempo prima.
Stranamente non le aveva mai parlato di quel libro né le aveva accennato al fatto che sua nonna, Maria Esmeralda Pisani, ne fosse l’autrice. Zone d’ombra dunque in una esistenza che, fino a quel momento, aveva ritenuto cristallina e al di sopra di ogni sospetto.
Lei, Sonia Rosita Ferreyra, nata e vissuta in Venezuela fino all’età di otto anni quando la sua famiglia si era trasferita in Italia, lo spagnolo l’aveva ormai dimenticato quasi del tutto.
Aveva dovuto quindi attendere un mese per la traduzione completa dell’opera. Incuriosita, l’aveva letto tutto d’un fiato fino all’inizio del capitolo quattordicesimo dove si era fermata senza avere più il coraggio di proseguire, sopraffatta dall’oscuro timore di terribili verità nascoste; timore che le era rimasto dentro a macerarla.
«Coraggio!», si era detta, afferrando in maniera risoluta, la copia dattiloscritta.
Capitolo 14
Livorno (Italia), domenica 4 dicembre 1910, Quartiere Venezia ore 22.46
Quando con la sua mole occupò lo specchio della porta, la bettola era già affollata dai soliti avventori: scaricatori di porto, marinai, prostitute e operai che ingannavano il tempo giocando a carte, bevendo e litigando, avvolti da una fitta coltre di fumo.
Diversi nelle fattezze e negli idiomi, unico denominatore, il volto segnato da mille intemperie.
Gli bastò un attimo per individuare i due compari seduti a un tavolo in fondo alla sala e apparentemente smarriti nei vapori dell’alcol. In realtà non lo erano perché, vedendolo entrare, i loro sguardi si animarono di colpo. Seguì uno sguardo d’intesa e un brevissimo cenno di diniego, solo una frazione di secondo, per comunicargli che ancora niente.
Allora scelse un tavolo accanto alla porta, già occupato da uno che parve non gradire affatto.
«Non avevi altro posto?», grugnì acido.
All’uomo fu sufficiente un’occhiataccia per tacitare sul nascere ulteriori proteste dell’avventore che, intimorito, preferì cambiare tavolo.
Davanti a un gotto di rosso, la testa ficcata nella berretta e il collo sprofondato nel bavero rialzato del giaccone, prese a bere come gli altri.
All’entrare di ogni nuovo cliente, alzava appena la testa e andava a incrociare con lo sguardo i due in fondo alla sala.
Sapeva che lo stavano braccando e che sarebbe stata questione di minuti. Un tremore sordo e impercettibile cominciò a scuotergli le membra fin da dentro, ma ormai c’era, i giochi erano fatti e non rimaneva, a quel punto, che spingere fino in fondo la partita.
Infilò meccanicamente la mano in tasca per assicurarsi che la rivoltella fosse ancora al suo posto. Gesto inutile dal momento che ne avvertiva benissimo il peso.
Non erano trascorsi che cinque o sei minuti quando un tizio grande e grosso comparve sulla porta. Si guardò intorno e con fare indifferente indugiò un niente di troppo su di lui.
«Eccolo!», parvero dirgli i due compari, rizzandosi sulle spalle.
Questa volta il brivido che gli corse lungo la schiena, gli provocò anche una sorta di fastidioso formicolio alla radice dei capelli. Prese a sudare e non era colpa del gran caldo o dell’aria stagnante del locale, né tanto meno del vino che aveva bevuto.
Alzò il bicchiere stringendolo saldamente tra il pollice e l’indice nel vano tentativo di smorzare il vistoso tremore.
Aveva paura, cribbio, una terribile paura, ma era lucido e determinato. Nonostante il fremito che gli girava nelle vene e sapendo benissimo di essere la vittima, si sentiva come una fiera pronta all’attacco.
Vuotò il bicchiere, poi lo riempì ancora e tutto d’un fiato lo vuotò nuovamente.
Un’altra occhiata ai due che, rassicurandolo, ricambiarono.
«Vai!», parvero dirgli.
Si alzò all’improvviso per precipitarsi fuori dal locale.
Girato l’angolo, prese a correre all’impazzata per una trentina di metri poi si mise al passo. Ma non aveva imboccato una delle stradine laterali dove avrebbe potuto far perdere tranquillamente le sue tracce, anzi aveva preso la via maestra, quella che l’avrebbe condotto fuori città.
«Nulla è cambiato in migliaia di anni”, si sorprese a pronunciare, Duccio, e dicendo ciò, volò - chissà perché - con la mente a Firenze, in Piazza della Signoria, immaginando tutte quelle statue, quelle opere d’arte ammirate da tutto il mondo. In quella piazza, raccolta in pochi metri, c’è l’essenza della bestialità dell’uomo, del maschio ...». Storia e riflessione morale, dunque, non sono mai disgiunte in queste pagine. Avvicinare lo sguardo al ruolo delle logge massoniche a Livorno nei primi del Novecento diventa non tanto pretesto per uno studio romanzato di storia, quanto occasione per delineare le strane, inafferrabili alchimie che trasformano le esperienze di vita vissuta ed i sentimenti individuali in carica ideologica e impegno politico, l’immodificabilità dei rapporti di subordinazione sociale anche all’interno di movimenti nati con l’intento ufficiale di rifondare una società nuova e più giusta, nonché i percorsi sotterranei e tortuosi attraverso cui il passato ritorna a noi ed influenza le nostre vite sia nella dimensione collettiva che in quella privata (dalla Prefazione di Maria Giovanna Missaggia).
Altre notizie
Iniziato nel mese di ottobre del 2009 e ultimato nel 2011, trae origine da un evento di cronaca: il suicidio, nel 1910, di un uomo, massone e anarchico, che sembra abbia preferito togliersi la vita piuttosto che eseguire l’ordine di assassinare un uomo.
Il romanzo che ne è nato, ruota intorno all’intrecciarsi delle passioni dell’essere umano: ambizioni, ideali, amori e impegno politico e sociale, mentre sullo sfondo fervono le manovre di preparazione alla guerra Italo-Turca del 1911.
Secondo Classificato al Premio Letterario “Città Cava dei Tirreni” (SA),
Premio speciale della giuria al Premio Letterario “Città di Martisicuro” (TE).