Una corona per una regina - Ida Cox - Blues al femminile

Autore : Giovanna Santagati
Anno di produzione : 2021
Casa Editrice : Youcanprint
Genere letterario : Saggistica - Musicale
Formato : Cartaceo
Quarta di copertina
Altre Notizie : Cover completa


Recensisci Opera

ACQUISTA

1
H A R D T I M E S

Reproduced with permission of the copyright owner. Further reproduction prohibited without permission

 

1a- IDA COX E IL SUO TEMPO

Per definire e valorizzare il ritratto di un personaggio è opportuno conoscere il contesto storico e sociale in cui ha vissuto. È quanto cercherò di fare in questo capitolo, affinché il profilo di Ida Cox si delinei chiaro ed acquisisca la dovuta consistenza.
Il background che sottende la vita della cantante risale ai due secoli precedenti, durante i quali aveva avuto luogo negli Stati Uniti la tratta internazionale degli schiavi, sino alla fine della guerra civile, nel 1865. La sanguinosa guerra, avviata nel 1861 sembrava aver segnato la fine della schiavitù come istituzione. Tuttavia dopo alcuni anni, nel Sud si afferma la segregazione razziale, periodo definito l‘era di Jim Crow che sancisce la separazione di bianchi e neri a tutti i livelli ed emergono violenza e linciaggi come sistema di repressione e controllo della popolazione afroamericana. In questo clima così polarizzato a livello razziale, si ha però lo sviluppo di una grande stagione delle arti, in particolare della letteratura e della musica afroamericana stimolata dalla convinzione, prevalente tra gli intellettuali neri, che la scrittura possa favorire il processo di elevazione razziale sconfiggendo i pericolosi stereotipi dominanti nella cultura americana bianca e rafforzando l’unità della comunità afroamericana.
Il ‘Black English’ , fiorito nelle piantagioni, acquisisce sempre più dignità dialettale e caratterizza la lingua letteraria afroamericana. Tale fermento creativo trova la sua capitale in uno speciale quartiere di New York, dando vita negli anni Venti a quel fenomeno particolare che prende il nome di ‘Rinascimento di Harlem’. Questo decennio è noto anche come Jazz Age, per il rinnovamento musicale che rivoluzionò la cultura americana. Nato nel Sud (ne fu culla New Orleans, in Louisiana) il jazz seguì i percorsi degli emigranti afroamericani del sud e si diffuse in tutta la nazione affermandosi in modo particolare a Chicago e New York.
“ Jazzmen e scrittori neri…sembrano spesso trovare funzioni interscambiabili, o comunque agire in simbiosi dialettica: così il solista di jazz diventa uno storyteller , un tessitore di vicende emotive capace di seguire con lo strumento una logica narrativa…”
Il blues più che mai appare la cronaca schietta e vivace della vicenda di quegli anni. Emerge dallo scenario del Sud, la cui popola-
zione, colpita dall’indigenza e insediata in villaggi fatti di baracche di legno, cerca di rimediare qualche dollaro ma anche di impegnarsi in facili evasioni per dimenticare l’umiliazione. Decine di Compagnie nere girovagano tra paesini e casupole rurali, povere e scalcinate: così prende vita il blues, tra negri che raccolgono il cotone ed il tabacco e, a sera, hanno voglia di divertirsi. Chi può permetterselo sale sui treni, altri nei vagoni merci, per andare ad ascoltare la propria gente che canta storie millenarie secondo ritmi e melodie che sanno d’antico, di Africa e schiavitù, nei quali riconoscere la propria identità di cui, tutto sommato, riesce anche a sorridere. Gli spettacoli sono allestiti in baracconi di cartone e legno riciclato, nel migliore dei casi in tendoni rattoppati, comprati a buon prezzo da qualche circo in crisi. Lì i bluesmen e, più spesso, le blueswomen, intonano versi ingenui su mascalzoni bianchi, padroni violenti e maschi ingordi: ma è tutto vero e non si può non restare coinvolti. Tutti cantano con i vocalists, rispondono (secondo il modello del call and response dei canti di lavoro), ridono, lanciano parole sarcastiche o di preghiera. Chi canta riveste il ruolo di ‘saggio’, di predicatore che dalla Bibbia o dalle regole tribali estrae salmi e diaframmi morali ritenuti inviolabili e latori delle norme comportamentali che ogni negro avrebbe seguito come un comandamento atto a purificare le proprie debolezze ed i propri peccati, specie quelli di natura sessuale. Le blueswomen in questo erano eccezionali: facevano ridere e davano vita ad una partecipazione tanto ingenua quanto accalorata; spesso le storie finivano con schiaffi e calci all’amante che, inevitabilmente, tradiva e si lasciava andare a sonore bevute con la propria cricca, sbronze in realtà solitarie e tristi, nella nostalgia per l’idealizzata casa materna abbandonata per mete estrane, e in cui trovare lavoro per sopravvivere a pochi centesimi. I temi del “dolore del ritorno”, dell’assenza, della difficoltà a vivere nella città erano frequenti nei testi delle songs più popolari: li troviamo tutti nei blues di Ida come in quelli dei primi cantanti che entrarono nelle sale di registrazione degli slums di Chicago, New York o Atlanta. Quegli scantinati impregnati dell’olezzo di sudore, di muffa e di alcool dozzinale, ma erano pur sempre il luogo di ritrovo di chi voleva fare musica, per trovare una strada “lieve”, alternativa a quella orribile della segregazione razziale e del disprezzo del white world.
Uno dei grandi canali che partecipa alla diffusione del folk nero alla fine dell'Ottocento è il medicine show. Gli physick wagons, i vagoni itineranti che si fermavano per giorni nelle località che attraversavano, appartenevano a sedicenti dottori che giravano le zone rurali interne per vendere le loro "medicine" (spesso soltanto alcool). Questi "dottori", per attrarre un po' di pubblico, obbligavano i propri apprendisti (quasi sempre di colore) a esibirsi in canzoni e balli. Con il passare del tempo i medicine shows divennero delle vere e proprie compagnie di varietà, buona palestra in cui sperimentare ed esercitare innate od acquisite abilità artistiche, cosìcché convogliavano cantanti, musicisti e ballerini in veri e propri spettacoli itineranti: superfluo evidenziare il potere veicolare di tale genere di spettacolo.
Di portata superiore si è rivelato il cosiddetto minstrel show, la cui vita si estende nell’arco di tempo che va dal 1830 al 1890 ed è stata la più popolare forma di intrattenimento in America. Era uno spettacolo itinerante essenzialmente basato su sketches, musichette e balli, interpretati da attori bianchi col viso dipinto di nero: blackfaces. Parallelamente al filone del minstrel bianco prese presto campo anche quello nero, i cui artisti di colore scurivano ancora di più la loro pelle, e, con largo consenso di pubblico, si ingegnarono a far ridere di sé stessi essendo quello l’unico modo per lavorare ed essere tacitamente accettati. In comune i due filoni avevano figure e temi. Presentavano la “macchietta” del coloured incolto, vizioso e superstizioso, pervaso da ritmo sfrenato nella danza tribale e nella musica percussiva, una maschera caricaturale da bipede selvaggio che narrava in modo razzista la storia della gente “importata” dall’Africa. Tra le compagnie che hanno fatto la storia di tale forma di spettacolo ricordiamo i “Mahara’s Minstrels” di cui fece parte Handy, e i “Rabbit Foot Minstrels” in cui lavorò con successo Ida Cox.

Il risvolto inatteso di tale genere di spettacolo è stato l’interesse suscitato per le tradizioni africane e l’impulso alla nascita dell’industria discografica statunitense, con particolare riguardo al sound afro e agli spirituals.
Comunque gli stereotipi razzisti originati dalle caratterizzazioni dei minstrels bianchi degli schiavi delle piantagioni e dei neri liberi si radicarono profondamente nell’immaginario degli americani (e di cui chiara traccia si trova ancora oggi nelle proposte pubblicitarie, soprattutto legate al cibo e alla musica, negli Stati Uniti).

Potrei sintetizzare in una frase il lavoro svolto in questo libro: - Ida Cox: viaggio nel blues classico attraverso le parole delle sue canzoni. oppure: - Ida Cox: una regina da incoronare o ancora : - I testi delle canzoni come documento storico –sociale di un’epoca. Calzerebbe a pennello anche: il femminismo nel canto E potrei andare avanti per un po’ a trovare i punti forti del lavoro svolto, perché comprende in effetti tutti i temi che ho sintetizzato, messo insieme e...oltre. Ma questo lascerò che emerga dalla lettura.
Qui mi limiterò ad illustrare il metodo di lavoro. Prima ancora però, immagino di dover rispondere ad un paio di domande che sorgono spontanee davanti al tema scelto e cioè: - Perché il blues? Avendo studiato le tradizioni musicali extraeuropee, in particolare quelle afroamericane, sento il piacere di voler restare nell’argomento con un approfondimento su un genere musicale come il blues, che più di altri ci avvicina a questo tipo di cultura.
- Perché Ida Cox?
In effetti non è molto popolare ai tempi d’oggi; tra i non addetti ai lavori c’è chi non l’ha mai sentita nominare; dici invece ‘Bessie Smith’ o ‘Billie Holiday’ e tutti si illuminano (a ragione, ovviamente). Confesso che ho ascoltato tutte le canzoni possibili di Ida: è davvero speciale. Diciamo che ho voluto rendere in piccola parte giustizia a questa grande artista e signora del blues.
- Perché le parole?
Innanzitutto credo che la scelta sia stata istintiva data la mia familiarità con la lingua inglese ed anglo-americana, dovuta al mio precedente percorso di studi universitari ed alla mia professione: con i miei studenti abbiamo sempre analizzato i testi delle canzoni straniere più gettonate: facevamo delle scoperte incredibili. E qui di testi ce ne sono tantissimi nell’Appendice 1.
Il libro si articola attraverso cinque momenti che vengono introdotti dal titolo o dal verso di una canzone di Ida Cox e un corredo fotografico e documentaristico inattesi.
1 – HARD TIMES 7
1a. IDA COX E IL SUO TEMPO 19
1b. IL BLUES CLASSICO 37

2. I’M A BIG FAT MAMA 51
2a. RITRATTO DELLA DONNA E DELL’ARTISTA 69

3. BLUES AIN’T NOTHING ELSA BUT 87
3a. A PROPOSITO DI BLUES 101
3b. LA POESIA DEL BLUES 117
3c. LE STRUTTURE DEL BLUES 135
3d. IDA COX E LE FORMULE 153

4. BLUES ON MY MIND 169
4a. IL BLUES SECONDO IDA 187
4b. IL SUO TESTAMENTO MUSICALE 205
4c. LAWDY LAWDY : due versioni comparate 221

5. OMAGGIO A IDA COX 237
5°. IDA E BESSIE: regine a confronto 253
5b. IDA CANTA I SUOI BLUES 269
5c. OMAGGIO INEDITO 287

EPILOGO 309

Appendice 1: LE LIRICHE DI IDA COX 237
Appendice 2. L’ULTIMA INTERVISTA 253
Appendice 3. DISCOGRAFIA CRONOLOGICA 269
Appendice 4. IDA COX E LA STAMPA 287
BIBLIOGRAFIA 309


Spero di aver stuzzicato la tua curiosità, sono certa non resterai deluso dopo la lettura, anzi, se vorrai lasciare un tuo commento sarà per me un vero regalo.
G.S.