Prefazione
Dopo l'esordio poetico con la silloge "Le mie mani sul cielo", edita nel 1996, dove il nucleo tematico s'impernia prevalentemente, come osserva acutamente l'illustre prefatore Mario Aversano, su un pregnante ossimoro – il binomio prigionia/libertà –, Vittorio Di Ruocco con la nuova raccolta dal titolo "I colori del Cuore" procede con maggiore sicurezza e speditezza per la strada impervia della poesia, mostrando di aver raggiunto un vigore lirico/creativo di pregevole rilievo.
Infatti, mettendo a frutto le esperienze maturate nel corso degli anni, esperienze che hanno fatto di lui un uomo diverso, egli si volge con maggiore coscienza critica al passato, non troppo lontano nel tempo, e mette a nudo il suo animo, dando vita ad una poesia che sembra essere il risultato di un processo emotivo libero e schietto, il riflesso di una personalità introversa, chiusa in se stessa, segnata da conflitti interiori, di natura per lo più esistenziale.
La poesia, in tali momenti, dà voce al silenzio dell’anima, che, non riuscendo ad esprimere con parole il vuoto esistenziale, la mancanza di certezze, costituisce l'ancora di salvezza, la panacea per chi avverte intorno a sé il malessere, il disagio di una vita che scorre nell’incomprensione generale.
Astraendo da ogni fine etico o politico, ma facendo leva soprattutto sul suo mondo interiore, Di Ruocco, temperamento lirico ed essenzialmente melodico, canta i sentimenti eterni dell’animo, riverberando nell’opera le sue emozioni, il vario alternarsi di momenti di estatica esaltazione, il "glukeròs biòtos", di cui parla Mimnermo, e di dolce amarezza, la "dulcis amarities" di Catullo, ed avallando sostanzialmente il giudizio di Benedetto Croce, il quale affermava che per un autore l'unica biografia è la sua opera, dove si riflettono le vicende della sua vita.
Anche se non è trattato in tutte le sue sfumature e con tutti i suoi motivi topici – gelosia, passione –, elemento conduttore della silloge è l'amore, non sempre vissuto con angoscia, come passione ardente e disperata, che avvince i sensi e obnubila la mente, ma ora come "levis venus", amore delicato e puro ("A te che mi ami" – "Naufragio" – "Un canto di sirena"), ora come "servitium", dominio vero e proprio della donna sull’uomo ("Tentazioni"), ora come "tristis et asper", sentimento triste e doloroso ("Forse... una mano" – "Quanta sete" – "Come la luna" – "Sui tuoi sogni" – "Sofferenza" – "Come un uccello migratore"). Il Maeterlinck, in fondo, a tal proposito, sosteneva che "il dolore è il principale alimento dell’amore".
Esso raggiunge, a mio avviso, il momento di massima tensione, la cosiddetta "Spannung", in alcune liriche ("L’otre avvelenato" – "Incomprensioni" – "Inganno" – "Pietra di lava"), dove il pathos perviene a note di delicata malinconia, provocando nel lettore emozioni intense e profonde con versi struggenti quali "Non piegare lo sguardo/sul tramonto, non sarà l’ultimo bagliore a riaprirti/le ciglia, non serve che ti lasci ingiallire/per mostrarmi il tuo autunno" ("Incomprensioni") o "Mi sembra di vederti/leggera quasi opalescente/non sei cambiata dall’ultimo uragano/di foglie secche e parole senza inchiostro." ("Pietra di lava").
L’amore, anche se è il tema dominante, non è il solo ad essere affrontato dal poeta; strettamente legato ad esso è quello degli affetti familiari con due liriche ("Tenerezza" e "Pensieri per te"), in cui la bellezza dei versi sta proprio negli accenti spontanei, limpidi, in cui si esprime, con rara sobrietà e nel contempo con grande intensità, la tenerezza paterna.
Rilievo ha anche il paesaggio, dalla policromia cromatica, vivo, vario, ricco di colori e di sfumature, permeato, però, qua e là da una soffusa malinconia, che si anima e si ravviva e sembra partecipare ai moti dell’animo del poeta, col quale si attua quello che il filologo tedesco Wilamowitz chiama “Die Stimmung der Landschaft”, lo stato d’animo del paesaggio.
Il motivo paesaggistico, che viene scandito da vari indicatori temporali, (“Ad un mattino appena nato” - “Cielo di Settembre”) è sviluppato con un procedimento ora analogico, col trasferimento dei pensieri del poeta nel paesaggio, ora oppositivo, col paesaggio che mette in moto nel poeta pensieri e sentimenti, il tutto in scene di pretto stampo espressionistico, dove sono presenti e sembrano rispondere ai palpiti dell’anima aspetti diversi della natura, cielo, mare, animali, piante, ed in immagini, in cui, mediante la figura retorica della sinestesia, si associano il senso della vista e quello dell’udito.
Per quanto concerne il registro linguistico, l’autore seleziona con cura le parole, ponendo grandissima attenzione nell’evitare quelle che possano appesantire il tono espressivo e rendere oscuro il verso che risulta, nella sua essenzialità, di grande forza comunicativa, arricchito anche dalla presenza di alcune figure retoriche, come la metafora, l’onomatopea, l’ossimoro, la similitudine, la sinestesia.
Per la particolare limpidezza formale, che si esprime attraverso l’uso di un lessico letterario e classicamente atteggiato, per il gioco di corrispondenza tra i colori della natura e gli stati d’animo, che si risolve in note di soave musicalità, per l’atteggiamento spirituale e la struggente malinconia, di cui è difficile non subire il fascino, in sostanza per la dimensione soggettiva dominante, che si esplicita nelle forme della riflessione esistenziale ora gioiosa, ora dolorosa, dell’affettuosa memoria familiare, e soprattutto del canto d’amore per la donna amata, “dal corpo di mandorla”, guida sicura e “luce perenne”, per la sobrietà di stile e commossa delicatezza di toni, la silloge testimonia, come si è detto all’inizio, una personalità già sufficientemente matura e suscettibile di ulteriori positivi sviluppi nel panorama della cultura italiana.
Giuseppe Anziano