Le mie mani sul cielo

Autore : VITTORIO DI RUOCCO
Anno di produzione : 1996
Casa Editrice : Il calamaio
Genere letterario : Poesia - Silloge poetica
Formato : Cartaceo
Quarta di copertina
Altre Notizie : Quarta di copertina


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Prefazione


La silloge di versi che Vittorio Di Ruocco ci offre in questa prima esperienza creativa si presenta, come un corpus poetico ben compatto e unitario, e non solo per i riguardi “esterni” delle tematiche proposte e delle soluzioni di linguaggio e di stile adottate, quanto anche per il valore generativo più intimo, di sentimento e di concetto, che le anima e le contraddistingue. È in risultato, questa organicità dell’insieme, che si fa percepire con immediatezza da chi anche soltanto una scorsa alle liriche selezionate tra le non poche da lui composte. Esse parlano mostrano un denominatore di convergenza anche più flagrante, che costituisce un po’ il fulcro della scrittura: nella tensione internamente “soggettiva” che le percorre, e che regola i noti contestuali, sempre centripeti.
Ma è sufficiente poi andare qualche grado oltre la chiarezza della superficie, e passare a un ascolto più ravvicinato di quest’ego che avanza impavido e sicuro e che vuole e riesce a istoriarsi in movenze tanto e quasi pudiche nella sostanza del “sentire” - per accorgersi che il suo volto più autentico è un altro, e tutt’altro che semplice; ed è quello che poi meglio giustifica l’atto della pubblicazione:
Quando un alito di vento
fa più rumore della propria voce
(...)
(L’ultima ora)
Sono versi tratti dal “pezzo” d’avvio della raccolta, e sembrano dichiarare l’elemento chiave che connota la personalità dell’autore, e quasi un abbozzo di poetica su cui si fondano le coordinate della scrittura. Nel pensiero analitico esercitato sull’esperienza quotidiana, sulle difficoltà e sulle contraddizioni, sulle speranze e sulle angosce del vissuto, Di Ruocco individua due status, li isola come categorie anche interne e li avverte come fatali e ineludibili: la prigionia e la libertà. Ma in questo avvertimento palpita come un bisogno di assoluto e, si direbbe, di un “infinito amoroso”, da cui si svolge - sia pure non molto oltre la fase germinale - finanche una consapevolezza etica: del diritto umano - che è insieme un obbligo, forse il primo della persona nei suoi rapporti privati e sociali - di aprirsi ai contatti vitali e di risolverli nella comprensione reciproca: pena il silenzio della vita, da intendere nella gamma anche estrema delle accezioni.
Questi versi proemiali, allora, risuonano come un memento per chi legge, perché non disavvede le ombre lunghe del sottinteso, di ciò che è stato, ed urge tuttavia, più in fondo. È qui che il giro delle affinità si rovescia, tra il “gridato” (di cui ognuno s’accorge) perché in Di Ruocco esso è tipologico e arriva a forme d’angolo parossistica), e il “taciuto”: l’implicito che garantisce la qualità più rara da trovarsi, quella elettiva del discorso poetico, riverberato dalle parole.
Le parole: di regola nelle sequenze che Di Ruocco propone esse acquisiscono un valore e un carattere non in sé e per sé, per la forza dei timbri e il calore-colore che hanno in proprio e nella dizione, come pure sembrerebbe; e neanche perché i legami consueti della comunicazione interdiscorsiva siano da lui spinti a più alte quote attraverso particolari contestualizzazioni “musicali”; ciò che le rende personali, ad onta dell’apparenza comune, è nella sorpresa del loro fronteggiarsi, da cui escono rivitalizzate. Sono, nei frames più inediti, parole-personaggi, quasi presenze antropomorfiche, perché tendono a dotarsi di corpo e di anima proprio in grazia dei loro incontri.
Sicché la novità non è all’interno dei perimetri semantici, ma scatta dal rapporto che riescono a stabilire sui precipui tracciati espressivi. È lì che giunge a scolpirsi finalmente il dramma stesso di libertà e di prigionia ch’è nell’animo e nella psiche del loro autore.


Mario Aversono
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L’ULTIMA ORA


Quando le briglie della volontà
non seguono più il comando
della ragione.
Quando l’amore è così forte
da stritolare ogni possibile
resistenza posta tra la mente e l’anima.
Quando il corpo vaga
in balia della passione
per sentieri inesplorati.
Quando la fragilità
diventa padrona e
l’apatia ti penetra inesorabile.
Quando non si ha più
il coraggio di esercitare
la propria brama di potenza.
Quando un alito di vento
fa più rumore
della propria voce.
Quando la luce del sole
non illumina la benché minima speranza
di ritornare attori del proprio tempo.
Quando tutt’intorno
inebria la propria indolenza,
ecco giunta l’ora.
L’ora di cancellare
uno spirito non più libero.