Prefazione
Ogni lettura di un testo di poesia lascia sempre insoddisfatti coloro che intendono tracciare alcune linee interpretative, per il fatto che si è consapevoli che rimane sempre qualche elemento che sfugge. Ma proprio in questo consiste la magia della scrittura in versi: quanto viene detto è sempre inferiore alle suggestioni provocate; ogni parola possiede un orizzonte superiore al proprio significato letterale.
Perché avviene questo? Dipende dal linguaggio o dal lettore?
Propenderei per la seconda ipotesi, senza per questo escludere una parte della prima.
Noi nelle parole altrui leggiamo noi stessi e, mentre quelle fermate sulla pagina rimangono inalterate, noi mediante esse cambiamo come il fiume eracliteo, producendo un fecondo scambio che alimenta un argomentare all'infinito.
Quale allora la cifra interpretativa fondamentale della raccolta di Vittorio Di Ruocco?
La indicherei nel seguente modo: compresenza sinallagmatica di elementi contrastanti (dal gr. συνάλλαγμα «accordo, contratto», da συναλλάσσω «contrarre, stipulare», termine composto da σύν «con» e ἀλλάσσω «prendere o dare in cambio»): il testo è sostanziato da tematiche opposte che contemporaneamente si attraggono o si respingono, si uniscono e si dividono, si chiariscono a vicenda e si escludono.
Il dualismo fondamentale, bene/male, viene declinato in modalità diverse. La più importante è guerra/amore che altro non significa se non morte/vita. Poi troviamo luce/tenebre, serenità/abbandono, gioia/disperazione.
L’opposizione basilare poesia civile/poesia lirica si traduce nel dualismo sinallagmatico della rappresentazione concreta/lessico astratto, sentimento/retorica, registro colloquiale/registro elevato, quest’ultimo caratterizzato dall’adozione di alcuni stilemi di derivazione ermetica (concreto con determinazione astratta, esempio: l’«antro dell’oblio»). Il concetto stesso di “danza”, presente nel titolo, conferma questa ipotesi nell’alternanza del battere e del levare dei piedi.
Nessuno si nasconde la difficoltà di scrivere poesia civile, non solo per il pericolo sempre incombente della tradizione retorica, cui non sfuggì neppure Salvatore Quasimodo e ampiamente documentato sul web dalle miriadi di composizioni sul conflitto russo-ucraino, ma soprattutto perché documenta uno sbocco diffuso dei residui della poesia novecentesca, riscontrabile anche nella frequenza dell’aggettivazione.
Vittorio Di Ruocco ne è testimone, testimone consapevole e critico, il quale presenta uno strumento di eccezione: l’adozione dell’endecasillabo classico che dà un lato perenne di musicalità ai testi lirici e dall’altro irrobustisce le rappresentazioni drammatiche.
Il poeta, quindi, si presenta come una rara avis nel panorama di italici “acapisti”, come li ha definiti Giuliano Ladolfi, secondo il quale la definizione di “verso libero” non implica affatto il rifiuto della metrica classica, quanto invece un uso personalizzato.
L’autore, infatti, dosa con sapienza la cadenza a seconda dell’atmosfera delle singole composizioni e conferisce quel valore aggiunto che affascina la lettura di questa raccolta.
Giulio Greco
In questa raccolta di Vittorio Di Ruocco l'opposizione basilare poesia civile/poesia lirica si traduce nel dualismo sinallagmatico della rappresentazione concreta/lessico astratto, sentimento/retorica, registro colloquiale/registro elevato, quest'ultimo caratterizzato dall'adozione di alcuni stilemi di derivazione ermetica (concreto con determinazione astratta, esempio: l'«antro dell'oblio»). Il concetto stesso di "danza", presente nel titolo, conferma questa ipotesi nell'alternanza del battere e del levare dei piedi. (dalla prefazione di Giulio Greco) Il testo è stato pubblicato in seguito alla vittoria del Primo Premio "Sez. A Poesia tema libero" nell'ambito del Concorso I.P.LA.C. "Voci - Città di Roma" edizione 2022.