IL Calligrafo

Autore : Joe Santangelo
Anno di produzione : 2007
Casa Editrice : Chinaski edizioni
Genere letterario : Narrativa - Noir





Recensisci Opera

ACQUISTA

La notte più nera che avesse mai conosciuto e lui aspettava.

Il vento fendeva il cielo corvino come la lama di una spada. Una calma bugiarda, una paura che non affiorava.

Senza condizioni. Quante altre volte gli era capitato di lanciarsi in volo da una tale altezza? Ogni decisione esige cieca obbedienza. In nome del valore che quella scelta protegge.

Il loro legame meritava questo e altro. Tutta la determinazione e il coraggio del mondo.

Si era preparato a quell’incontro, come se fosse il primo. O l’ultimo.

Aveva scelto i colori degli abiti. Si era pettinato con cura fino a quando i lunghi capelli neri non erano diventati lisci e scintillanti. Aveva preparato le parole e il sorriso. Poi, come accade soltanto a un amante, l’attesa si era trasformata in eccitazione.

Quando un uomo persegue un ideale, ogni azione diventa dovere. Quando un uomo ha conosciuto la degradazione del corpo, dei sentimenti e degli affetti, l’estraneità rispetto a se stessi e il vuoto radicale, non si lascia frenare da niente e nessuno.

Quando un uomo, punto.

Le mani gli si erano gelate. Presto si sarebbero aperte delle piaghe. Il cielo aveva inghiottito ogni corpo nel suo mantello cupo.

Non aveva orpelli, non aveva pensieri. Era lui dentro un paio di chili di stoffa e plastica. Era lui senza esserlo, un’anima pura senza le atrofie della personalità.

Nel silenzio sentì il rumore di un’automobile che si avvicinava. La piazza era illuminata a malapena. Mezzanotte era passata da un pezzo e lui rimaneva seduto sul marciapiede, come gli era stato richiesto al telefono. Aveva con sè soltanto un piccola sacca di tela consunta e uno di quei contenitori tubolari in cui architetti e pittori usano avvolgere i propri disegni per evitare che si sgualciscano.

L’automobile si fermò a pochi passi da lui. Il vetro si abbassò.

“Sali!”, fece dall’interno una voce. Il silenzio della piazza fu rotto da pochi rumori metallici.

Nell’abitacolo erano soltanto in due. Si passavano una trentina d’anni, mese più mese meno.

“Buonasera”, fece il ragazzo con un cenno del capo. L’uomo non aprì bocca. Per tutta la durata del viaggio ci furono sorrisi di circostanza e sguardi furtivi attraverso lo specchietto retrovisore.

Soprattutto silenzio, interrotto da qualche vaga considerazione.

L’imbarazzo si sciolse qualche chilometro e un’ora più tardi, con una bottiglia di vino rosso. Nessuno nei dintorni, nessuno in casa, solo un forte odore di legno umido e il rumore della campagna che proveniva dall’esterno. Grilli e gufi, predatori di passaggio, il soffio del vento.

“Ancora vino?”

“Preferirei di no, grazie comunque signore”

“Ti ho già detto di non chiamarmi signore, io non sono tuo padre!”

Il ragazzo accusò il colpo. Non avrebbe mai chiamato signore suo padre, ma decise di lasciar correre. Doveva abituarsi a trattare con persone del genere.

“Mi piace il tuo lavoro e credo che tu abbia talento”

Il ragazzo sorrise. Si aspettava un consenso, ma non in quel preciso momento. L’uomo gli sembrava trasfigurato dalla spossatezza, dall’alcool e da una strana euforia.

“Quante tele hai prodotto? Intendo, di questo tipo…”

“Nessuna, solo bozze su carta”

“Vuoi dirmi che… A quante persone hai parlato del tuo progetto ?”

“Una. Voi, signore….”, rispose d’un fiato il ragazzo con l’entusiasmo del principiante.

Non era sua abitudine mercanteggiare. Lui era un puro, ma quel momento richiedeva la sensibilità e le capacità interpretative di un attore.

“Non hai ancora visto nessuno. C’è qualcuno che ti segue…? Un supervisore, un agente… Tutti gli artisti ne hanno uno”

“Nessuno. Non sono molto pratico di certe dinamiche, signore. Io dipingo, il resto non è affar mio, non me ne occupo”, abbozzò il ragazzo, suscitando le ilarità dell’uomo che gli stava di fronte.

“Te ne occuperai, ragazzo, puoi starne certo!”

L’uomo alzò ancora il calice e trangugiò il vino con avidità.

“Questa sera la tua vita cambierà, ragazzo, anche di questo puoi essere certo! Avanti parlami di te. Voglio sapere tutto, se ti droghi, a cosa pensi quando chiudi gli occhi prima di addormentarti e qual è il tuo primo pensiero al mattino!”

Parlarono di tutto, per ore. Non degli aspetti formali del contratto. Il ragazzo parlò di sè, della sua arte, del suo mondo. Che sforzo immane!

L’uomo gli parlò della fama che ti cambia dentro e fuori.

“Ragazzo, il successo si raggiunge con fatica ma si perde in un istante. Se decidi di percorrere questa strada, tutte le tue azioni dovranno essere adeguate allo scopo. L’utile accelera, l’inutile rallenta!”

 

La recita dell’esistenza è spietata. Non è vero che non puoi morire se hai qualcosa d’importante da portare a compimento. Non è vero che negli ultimi istanti, quelli in cui l’anima resta avvinta alla fisicità ma vorrebbe andare, affiorano i ricordi delle gioie e dei dolori tra le rapide della memoria.

Quale grande interpretazione…

Il ragazzo avrebbe voluto dirgli che lui sapeva, che era stato educato secondo rigorosi principi, che era un artista, che aveva deciso di manifestarlo al mondo…

Quell’ultimo sublime pensiero non trovò i neuroni pronti a tradurlo in parole.

Un blocco cardiocircolatorio causato da una malformazione congenita che nessuno mai gli aveva diagnosticato prima di allora, lo fulminò.

Il ragazzo si accasciò su se stesso. Il suo cuore tradì presente e futuro.

L’uomo si ritrovò di fronte a un cadavere. Sul tavolo c’erano ancora i disegni, le idee su come quella enorme intuizione si sarebbe potuta concretizzare.

A terra era la morte, sul tavolo la vita.

A terra il passato, sul tavolo il futuro.

Non c’era davvero più nulla da fare.

L’uomo avvolse il corpo in una coperta e lo sistemò nel bagagliaio della macchina. Poi ritornò in casa, lavò i bicchieri, ripulì con cura qualsiasi oggetto e superficie il ragazzo avesse toccato durante la sua brevissima permanenza in casa e nell’abitacolo della macchina. Fece tutto con tranquillità. Nessuno sapeva di quell’appuntamento.

In macchina vagliò una serie di alternative. Poi a venti chilometri dal paese, imboccò una strada buia, srotolò il cadavere e lo abbandonò tra le sterpaglie. Mentre ritornava sulla statale le luci di una utilitaria gli apparvero nello specchietto retrovisore… Pigiò l’acceleratore e andò spedito verso la città.

Un samurai e un guerriero moderno. Ideogrammi vergati con il sangue su tele di canapa. Un commissario che segue una pista di dolore e morte in un non-luogo che potrebbe essere una qualsiasi delle grandi metropoli in cui ci consumiamo ogni giorno in una frettolosa inazione. Il calligrafo è un uomo che persegue la regola dell'antico Samurai, ma ha perso il proprio equilibrio. Il calligrafo ha smarrito la strada, si è persuaso che l'esercizio della regola possa risolversi in un adempimento formale, nel decoro fine a se stesso. Che la colpa dei suoi mali sia del mondo. Ha dimenticato che l'onore è qualcosa da rivendicare di fronte a se stessi e non di fronte agli altri.

 

“Con un linguaggio estremamente crudo e diretto, Joe Santangelo, appassionato cultore di filosofia e arti marziali orientali e cinico osservatore del degrado cui il mondo è sottoposto, ci racconta la storia di un uomo che in questo non-luogo vuole dimostrare come la disciplina e l'etica dei valorosi Samurai siano ancora vive e saldamente radicate nell'animo di pochi eletti che hanno saputo forgiare mente e corpo, attraverso allenamenti al limite dell'umanità, proprio come un tempo facevano i gloriosi Samurai. Un ottimo Noir che segna la maturazione del giovane autore” – NOIR-MAGAZINE – Febbraio 2008.