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22:46 – Lunedì 8 dicembre 1980.
- Lasciaci pure qui di fronte, Jacko.
- Non volete che attraversi e vi faccia scendere nel cortile?
- Non è necessario. Fa caldo, va bene così.
- Come desidera, Mr. Lennon. Un secondo e accosto. Eccoci.
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22:47
Yoko Ono è seduta dietro all’autista della Limousine. Esce per prima dalla
vettura e si stringe nel bavero della giacca di pelle nera. Ha i capelli raccolti in
uno chignon, come sempre a fine serata. Il fumo si deposita sui capelli e li
rende grassi e ingestibili. I bicchieri di vodka si traducono in reazioni chimiche
che rendono maleodoranti pelle, corpo e peli. Sbatte decisa lo sportello, John
Lennon è ancora dentro, sta esaurendo il suo ultimo sorriso.
Yoko non lo aspetta. Yoko va.
Attraversa la strada. Ha gli occhi sulle luci fioche dell’entrata del Dakota
Building. José Perdomo, alla sua sinistra, sta trafficando nella guardiania, con
il capo chino su qualche oggetto. Sulla destra mette a fuoco la sagoma di un
uomo che adesso si muove al rallentatore. Sembra che stia indietreggiando.
John Lennon è ancora in auto. Da qualche tempo gli piace sempre dire
l’ultima parola. A momenti le sarà accanto, la raggiungerà con passo
accelerato. Lei lo aspetterà sul ballatoio, di fronte all’ascensore. Poi
saliranno assieme e troveranno rifugio tra le pareti del loro appartamento.
Yoko Ono attraversa l’androne e riceve un ambiguo sorriso dall’uomo che
indietreggia. I loro sguardi si incontrano per un momento, ma la donna non
modifica l’espressione e prosegue il cammino verso la scalinata, alla destra del
corridoio d’ingresso.
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22:48
Dall’altra parte della strada arrivano voci.
Un saluto, chiaro.
“See You Tomorrow”.
Poi le grida di un edicolante in cerca di clienti.
Poi più nulla, silenzio e rumore di tacchi.
Gli stivali, alternandosi sull’asfalto, producono un suono deciso,
C’è un uomo sul marciapiede, ma non è uno dei doorman. Non ne ha la
fisionomia, il portamento, né gli abiti giusti.
Uno qualunque.
È solo uno qualunque.
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22:49
Uno, due, tre, quattro.
Quando sei uno con la tua musica, allora anche i gesti quotidiani
riflettono quest’armonia.
Cinque, sei, sette. Si tocca i capelli con la destra. Nella sinistra porta con
sé nastri, appunti e registratore. Otto, nove e dieci. John Lennon è sulla
banchina, sta camminando su una lastra di ghiaccio. L’uomo qualunque gli
è alla destra, fermo.
John Lennon lo guarda, si tratta di un secondo, e quello che vede gli fa
ricordare qualcosa, ma l’istinto gli suggerisce di non fermarsi. E infatti si
dirige spedito verso l’arco.
Gli manca poco.
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22:50
- Mr. Lennon…?
I thought I could hear (hear, hear, hear)
Somebody call out my name as it started to rain…
Two spirits dancing so strange
John Lennon rallenta il passo, ma il suo corpo continua a muoversi in
avanti, per inerzia.
Non ha il tempo di voltarsi.
Né quello di capire.
Non può più scegliere, è tardi.
Cinque proiettili fremono nel tamburo, sono pronti a partire.
Il primo proiettile si conficca nella spalla destra. L’impatto è così forte
da provocare una rotazione di centottanta gradi. In questo momento John
Lennon è a favore del fuoco nemico. Avverte un bruciore intenso sulla spalla
e non capisce quello che gli sta succedendo, ma è ancora lucido, perché gli
effetti prodotti dall’impatto del proiettile richiedono qualche secondo per
raggiungere il cervello attraverso le periferie nervose di superficie. Il
cervello produce immediatamente le endorfine che vanno a collocarsi sul
punto interessato e riducono il dolore, per quanto possibile.
Poi interviene il secondo, il terzo proiettile, il quarto.
Un quinto va a ficcarsi dentro il muro di una parete dell’edificio.
John Lennon ha visto in faccia il suo aggressore. Non ha la fisionomia
dell’Angelo della Morte38, non c’è nulla di demoniaco in quell’uomo
qualunque che gli sta portando via l’esistenza.
Mi sforzo continuamente di mettere tutto a posto,
Ma l’angelo della distruzione è qui davanti, mi insegue.
Mi vuole braccare.
Non aspettiamoci troppo dalla fine del mondo.
Un uomo qualunque si è trasformato nell’Angelo della Morte.
L’arteria principale è stata danneggiata e il sangue fuoriesce
copiosamente dalle ferite.
Quattro su cinque, non c’è male, un ottimo score.
John Lennon non cade, ma barcolla.
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22:51
- AH! – John… JOHN!
Mentre Yoko Ono si affanna a scendere gli scalini e ripercorrere a
ritroso il tragitto John Lennon si sforza di conservare la vita.
Il cuore batte ancora e spinge sangue agli organi vitali e ossigeno ai
muscoli. Così John Lennon riesce a muovere ancora qualche passo in avanti,
come per mettersi al sicuro.
Quattro, per la precisione.
Ha ancora forza per formulare la sua ultima frase.
Potrebbe essere il titolo di una canzone, ma è solo un grido di aiuto.
L’uomo sa ciò che gli è accaduto.
“I’m shot, I’m shot…”
Poi si accascia a terra, con il petto sanguinante verso il cielo.
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22:52
Yoko Ono si abbassa sul corpo di John, accarezza il volto del marito, sta
- Fate qualcosa, vi prego… Hanno sparato a mio marito!
José Perdomo ha difficoltà a realizzare. Non sta succedendo, non a lui,
deve trattarsi di un incubo. Poi scorge una sagoma. Con la mano destra
quell’uomo impugna ancora la pistola.
Quell’uomo è Mark David Chapman.
No, non si tratta di un incubo.
È successo per davvero.
Perdomo muove verso Chapman.
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22:53
- We need help!
Jay Hastings si precipita nel chiosco della guardiania e preme il
pulsante. Entro un paio di minuti l’auto della Polizia raggiungerà l’edificio.
Perdomo è di fronte a Chapman.
Non ha paura, nonostante sia a tu per tu con un assassino. Chapman ha
ancora la pistola in mano, ma Perdomo non ha paura.
Lo guarda negli occhi e gli mette una mano sulla spalla, come farebbe
un padre. Ha le lacrime agli occhi.
Lo guarda e gli parla.
- Ti rendi conto di quello che hai fatto?
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22:54
John Lennon ha la giacca di Hastings addosso, qualcuno deve avergli
sfilato gli occhiali. Il sangue continua a fuoriuscire. Nessuno ha il coraggio
di tamponare.
Sembra che toccare John Lennon, anche in una situazione estrema come
questa, sia proibito.
Toccare la leggenda è sacrilego.
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22:55
Per un minuto non accade niente.
Liquidi organici che lasciano i corpi.
Il sudore di Chapman e Perdomo.
Le lacrime di Yoko Ono.
Il sangue di John Lennon.
Nient’altro.
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22:56
Ancora niente.
Gente che comincia ad accalcarsi davanti all’entrata del Dakota.
Nient’altro.
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22:57
Stephen Spiro sta perquisendo Chapman e Cullen chiama il distretto.
- Codice rosso. Qui non c’è più tempo! Mandate rinforzi!
Segue un breve confronto tra Spiro e Chapman.
Chapman di faccia al muro, con le gambe divaricate.
Chapman ha paura.
Chapman ha agito da solo.
98
22:58
Chapman è in auto.
Chiede che venga recuperato il suo libro e viene accontentato.
99
22:59
James Moran e Bill Gamble hanno appena caricato il corpo di John
Lennon nell’auto. Non è stato facile tenere a bada Yoko Ono, né raggiungere
l’auto facendosi spazio tra i curiosi più arditi.
Ma adesso sono in auto, sono pronti.
Ferito a bordo, destinazione Pronto Intervento.
L’ospedale più vicino è il Saint Luke’s Roosvelt Hospital.
- Chiamo il Distretto: devono avvertire i medici. Qui la situazione è drammatica.
100
23:00
Moran e Gamble sono in auto, tra le strade buie della città, hanno la
sirena accesa. Non l’hanno mai spenta da quando è stata ricevuta la prima
“Uomo ferito – Arma da fuoco – Dakota-Building”.
Da allora sono in emergenza, tracciati, nei movimenti e nelle
È così che funziona.
Vanno sparati.
Vanno a salvare una vita.
101
23:01
Nell’auto John Lennon è in preda a uno spasimo.
A stento, a stento respira.
Quella posizione non gli facilita la respirazione.
A stento, a stento ragiona.
- Ti ricordi il tuo nome? Tu sai chi sei, vero?
Una domanda di routine. Moran conta sulle capacità estreme di
autoconservazione che ogni uomo porta con sé, fino alla fine. Fanno parte di
un bagaglio atavico che non cambia. È lo stesso da millenni, e lo sarà finché
la razza umana resterà in vita.
Allora le stimola, con una semplice domanda.
Tu sai chi sei, vero?
Poi osserva lo specchietto.
È in attesa di una risposta che non arriva.
C’è mia madre che mi sorride radiosa e mi invita a stringerla e a ballare
con lei, poi mi sussurra all’orecchio se voglio sapere un segreto e mi dice che
è innamorata di me, e c’è Julian, che mi osserva dall’alto verso il basso, è
grandissimo, un gigante, mi porge la mano e vuole che io stia ad ascoltarlo
mentre suona, e c’è Tim che mi guarda in mezzo alla neve e con gli occhi mi
supplica di portarlo a casa, e Stu40, con i suoi grandi occhi neri e il viso di
porcellana, che mi fa segno di andare, “vieni, John, non aver paura” mi fa, e
c’è Paul che mi mostra quanto è abile con la chitarra e vuole ritornare a fare
musica con me, il suo amico fraterno, il Maharaishi41, sono di nuovo in India
alla ricerca del mio centro, e nasce una nuova canzone, sono immerso nel
fango primordiale dal quale tutti noi veniamo, alle origini della canzone più
vera che io abbia mai scritto, riesco persino a toccare il mio stesso cuore e lo
sento bruciare, proprio qui, dove ho il dito, sto ritornando all’utero prima
dell’urlo primale, in un bagno sonoro rassicurante dove tutto è suono, e c’è
zia Mimì con il suo filo di perle che mi corregge la dizione e mi ricorda che
devo mettere gli occhiali prima di uscire per vedere le cose come sono e non
come la miopia le deforma, e c’è zio George con Pepys sulle ginocchia che mi
dà i suoi baci preferiti, gli squeakers … “va avanti, John, è la tua strada” mi
dice, e ci sono le mie sorelle che mi danzano intorno con i loro tutù color
pastello mentre imparo a suonare il banjo, ma è tutto così rapido, sono
fotografie nel mio album dei ricordi, e c’è un tunnel buio davanti a me e sento
che devo percorrerlo fino in fondo, ma non ho la forza per fare il primo passo,
mi sento inadeguato, e c’è il cancello rosso di Strawberry Field, quante
limonate per un penny ho venduto con _igel e Pete, sento la banda
dell’Esercito della Salvezza che sta suonando, “nulla è reale e non c’è nulla di
cui preoccuparsi”, e ci sono i Quarrymen, il pubblico che ci acclama,
centinaia di migliaia di occhi su di me e sulla mia camicia a quadri mentre
suono sull’autocarro parcheggiato vicino alla chiesa, e c’è un baratro sotto i
miei piedi, e avverto una vertigine che mi arriva fino alla gola, avrei bisogno
di bere qualcosa di forte, e so che dovrò saltarci dentro, ma non ho ali per
volare e così resto paralizzato, e c’è Brian42, ha vinto le sue paure, sono in
Spagna con lui e lo abbraccio mentre ci scattano una foto, e siamo alla prima
audizione, di fronte ai signori della Parlophone, tutti poco più che ventenni,
seri, terrorizzati, e vedo Buckingham Palace, la Regina che mi consegna una
medaglia e tutti noi che le sorridiamo43 tirati a lucido come pinguini, e siamo
a Saville Row, all’ultimo piano della Apple, stiamo cantando e sotto ci sono
migliaia di persone che fanno il tifo per noi44, e c’è Yoko vestita di bianco con
la pelle d’avorio che mi tende un fogliettino e mi sussurra “Breathe”, e c’è un
meraviglioso viaggio per mare, il mio sogno che diventa realtà45, e c’è anche
mio padre Fred, mi fa segno che tutto andrà bene, che ora potrà finalmente
essermi vicino, e c’è George, che mi abbraccia e mi tiene forte, con le lacrime
agli occhi e mi dice “forza John, sono con te, lo sono sempre stato”, e c’è
‘Imagine’ che risuona nella testa come un’eco lontana mentre la luce mi
inonda nella stanza bianca46 e milioni di dollari piovono dal cielo, e c’è
Keith47, è uscito fuori dal tunnel e mi sta sorridendo, “non è poi così male,
John!” mi dice porgendomi un bicchiere, e vedo ancora quella strada buia,
conduce a una galleria, ma non vedo l’uscita, e c’è il sesso48 nei backstage,
tra una canzone e l’altra, il sesso nell’auto, nell’aereo e nei camion, l’umido,
gli odori, le grida e il sangue, e c’è il vuoto, sento il peso smisurato del nulla
che mi blocca il respiro e vedo Alice prendere la rincorsa e caderci dentro, e
c’è il rimpianto, nasce dalla memoria e finisce nel presente, ha più colori
dell’arcobaleno e pesca nella voragine che mi porto dentro, le mie valigie
pesanti, e c’è l’intervista, interminabile, inutile, ripetitiva, e c’è Cynthia49, non
sembra arrabbiata e mi guarda fiduciosa mentre le dico che questa volta non
la deluderò, e c’è il Russian Blue che si è ammalato e lo stringo tra le braccia
mentre il veterinario gli fa un’iniezione letale, e c’è il caos, lo sento là fuori,
nelle strade e nei prati, c’è caos nei cieli che traboccano di proiettili, e c’è
Elvis che mi sorride finalmente felice, c’è l’amore, riesco a vederlo negli occhi
di Sean, riesco a vederlo negli sforzi degli uomini comuni e arriva fino al
cielo, e c’è anche Dio, con le mani conserte che risponde ai miei perché, e c’è
il rumore, assordante, e c’è l’inferno, ma è buio e non c’è neanche il fuoco, e
c’è il demonio, ha la faccia di un uomo qualunque, ma è capace di fare del
male, e ci sono anche io e sono stanco di fingere, stanco di aver paura, e
vorrei solo riposarmi, solo chiudere gli occhi e dormire, spostarmi in un
mondo migliore, passare ad altro… Adesso che mi sono perdonato, adesso
che so chi sono…
- Tu sai chi sei, vero?
- Sì. Adesso sì… sono John Lennon.
L’auto continua il percorso a forte velocità.
102
23:02
Moran e Gamble hanno raggiunto l’ospedale.
Ci hanno messo tre minuti.
Centottanta secondi, qualcosa in meno.
Sono stati bravi, bravissimi.
Non era possibile aspettare i soccorsi sul luogo, non ce ne sarebbe stato
il tempo.
Non era possibile fare di meglio.
Bravi, efficienti.
Consegnano un cadavere al personale medico.
John Lennon è già morto.